Possiamo trovare delle linee guida generali che accomunano un po’ tutti i marketplace del globo, dalle commissioni a percentuale fino ai servizi extra di PPC. Si possono dividere in verticali e orizzontali (o generalisti e specializzati se si vuole) ma bene o male sono tutti riconoscibili in quanto marketplace. Questi non sono però l’unica possibilità per vendere i propri prodotti online perché esistono tanti canali che, pur non presentando le stesse caratteristiche delle piattaforme già citate, permettono di dare visibilità a un prodotto in vendita e acquistarlo. Pensiamo a Google Shopping, a Facebook Marketplace, ai comparatori come Trovaprezzi, ai siti di annunci e altre soluzioni alternative.
"Ogni secondo, su Google vengono effettuate 40000 ricerche"
Google
Più che un vero e proprio marketplace, Google Shopping è un canale di ricerca interno a Google, non molto diverso da “immagini” o “video”. Si può navigare selezionando “shopping” in fase di ricerca oppure ci viene mostrato in anteprima in alto a carosello se alla nostra ricerca viene assegnato un intento di acquisto. Allo stesso tempo si tratta anche di un canale pay-per-click, ovvero dove appaiono i contenuti sponsorizzati e gli annunci creati all’interno dell’apposita suite di Google. Eppure, se andiamo a vedere le modalità di inserimento prodotti e di pagamento, siamo praticamente di fronte a un marketplace, molto probabilmente il più grande del pianeta. Facendo comunicare Google Shopping con il nostro sito potremo mettere in vetrina il nostro catalogo direttamente su Google quando un utente effettua una ricerca rilevante. Non si paga la commissione fissa ma si fa un offerta di asta per il clic: se l’utente clicca, paghiamo quanto abbiamo offerto. Sembra differente, sicuramente è più dinamico ma se consideriamo che le linee guida generali indicano che il costo del click non deve mai superare il 10% circa del valore della conversione finale, allora vediamo come in realtà non siamo molto lontani dalla commissione di un marketplace. La vera differenza è che non abbiamo categorie da navigare ma sono le parole che noi cerchiamo a fungere da categoria merceologica e a metterci in mostra i prodotti. In sostanza, siamo di fronte a un marketplace dinamico che sfrutta il primo sito al mondo (Google) per mettere in vetrina i nostri prodotti; risulta difficile escludere Google Shopping dal mondo dei marketplace.
Il colosso di Menio Park ha cercato di sviluppare soluzioni per monetizzare l’enorme base di utenti di cui dispone. Direttamente su Facebook è possibile trovare Facebook Marketplace dove gli utenti possono mettere in mostra oggetti di proprietà, geolocalizzarli e inserire foto e prezzo. Semplicemente impostando un raggio chilometrico è possibile navigare gli oggetti in vendita nei paraggi. Inizialmente si trattava quasi esclusivamente di oggetti usati ma ora hanno aperto le porte alle aziende e si trovano automobili, appartamenti, servizi a domicilio e annunci sponsorizzati in senso stretto. Tutte queste opzioni sono per ora operative solo in USA ma la fase di test è ormai finita e con il bisogno di Facebook di monetizzare dopo gli scandali e il crollo relativo in borsa, non dovremo aspettare molto per vedere quegli stessi servizi anche qui in Italia. Discorso diverso per Instagram che sta vivendo un periodo di crescita esponenziale e si sta imponendo come il canale social per eccellenza. La soluzione trovata in questo caso è quella di taggare i prodotti nelle immagini caricate con un profilo aziendale così che chi vuole può trovarsi direttamente all’interno della pagina di acquisto. Non si conclude la vendita dentro Instagram e in questo differisce dai marketplace più tradizionali ma come vetrina è molto efficace e ha una reach superiore a quasi tutti i siti in circolazione. Una menzione speciale per Pinterest che si è aperto nello stesso modo alle aziende con grande successo. Non ci sono costi per taggare i prodotti e viene utilizzato da milioni di utenti sia per navigare che come “wishlist”, portando le aziende e i venditori principali a competere sulla sua piattaforma.
I comparatori di prezzo hanno una funzione diversa rispetto ai marketplace tradizionali, almeno dal punti di vista dell’utente e dell’intento di utilizzo. Non tutti vogliono essere presenti su questi siti perché bisogna saper fare battaglia sui prezzi ma se si riesce ad essere competitivi offrono maggiori possibilità di conversione. L’utente che utilizza il comparatore ha, in teoria, già deciso di fare l’acquisto e vuole solo comprare al miglior prezzo: il contatto procuratoci dal comparatore è sicuramente “caldo”. Ci sono varie opzioni, da Trovaprezzi fino ai più internazionali Kelkoo e Shopalike. Oggi poi si trovano decine di alternative, alcune di nicchia riservate a un particolare servizio (come le assicurazioni per esempio), molte altre che si propongono cercando di trovare un dominio buono per ottenere visibilità ma che si assomigliano tutte (basi cercare “comparatore prezzi online” su Google per rendersene conto). Il successo di questa modalità è stato tale che molti marketplace tradizionali si sono adeguati e hanno integrato la comparazione all’interno della propria piattaforma per migliorare l’esperienza di acquisto degli utenti, come nel caso di Amazon.
Facebook Marketplace non è stata un’idea originale ma si è inserita in un filone di app mobile pensate per mettere in contatto gli utenti sul territorio. Basta scattare una foto, inserire un prezzo e un indirizzo e chiunque imposti dal suo dispositivo un raggio tale che ci inquadri visualizzerà la nostra inserzione. È possibile navigare per categoria o semplicemente visualizzare tutte le offerte nella zona. Se inizialmente queste app venivano utilizzate solo da privati per scambiarsi o rivendersi oggetti usati, oggi sempre più attività ne fanno uso per promuoversi localmente. Negozi di biciclette o di vestiti sono abbastanza comuni ma in generale le attività commerciali si rendono sempre più presenti. È un po’ come i siti di annunci, come Kijiji, Subito e Craiglist che da anni hanno iniziato ad ospitare annunci di negozi per oggetti nuovi incontrando anche un discreto successo.
Con il proliferare dei dispositivi portatili sono spuntate piattaforme per la vendita di prodotti digitali e contenuti multimediali “intangibili” di vario genere. Si tratta sempre di piattaforme molto conosciute ma raramente vengono considerate dei marketplace, eppure si tratta sempre di esporre un prodotto in vendita su una piattaforma esterna. Le modalità di accesso non variano molto rispetto a un marketplace, semplicemente non c’è nulla da spedire. Il principio è più o meno lo stesso e si trovano sia marketplace per prodotti digitali sia orizzontali che verticali. iTunes infatti vende sia musica che film, Steam solo videogiochi e Udemy offre corsi da seguire online.
Per chi vuole vendere online esistono tante opzioni e possibilità, bisogna solo trovare quella che fa al caso nostro. Contattaci per sviluppare la giusta strategia di crescita!